UN’IPOTESI DI FISICA NON GALILEIANAVorremmo arrivare alla Fisica lungo una strada agevole, che
avesse la piacevolezza dei testi divulgativi e fosse avvincente per ogni
lettore: qualcosa come gli innocenti tentativi primordiali dei Presocratici,
e nello stesso tempo più preciso della Scienza contemporanea e meno
oppugnabile. Ma già il più profondo dei Presocratici antichi si avvide che
non si può fare, perché la separazione tra il soggetto ed il mondo esterno è artificiale. Noi stessi, in qualsiasi maniera ci sia concesso immaginarci –
come aggregati di cellule, o di atomi, o di particelle o persino di
proposizioni – siamo entità complesse, e se cerchiamo di andare al fondo delle
cose intravediamo strutture ancora di gran lunga più complesse. Pertanto la nostra maniera di analizzare e descrivere
(scientificamente) la realtà non può essere immediatamente semplice. L’anabasi verso la conoscenza Fisica sarà soprattutto uno sforzo
per dipanare le tortuosità introdotte dalla nostra stessa natura. Chi ha voluto continuare questa lettura non potrà aspettarsi
nulla di dilettevole, come non sono dilettevoli le pietose esitazioni di un
cieco lungo un sentiero ignoto. Forse non sarà inopportuno che si cominci con la formulazione di
alcune domande, cui – in parte – sarà possibile dare una risposta
ragionevole. DOMANDEA.
Possono sussistere leggi di natura
assolute? B.
Perché la Fisica galileiana è tanto “complicata”? C.
È possibile formulare una Scienza fisica
“semplice”? D.
Dov’è la linea di confine tra
Razionale e Reale? E.
Perché (e fino a che punto) vediamo
tutti lo stesso mondo? Domande siffatte conducono quasi inevitabilmente ad ipotizzare
una Fisica non galileiana (che non vuol dire anti-galileiana), le cui
difficoltà matematiche sono estreme. In cambio essa reca il vantaggio inestimabile di non presupporre
leggi positive di natura; non si fonda su strutture spazio-temporali afferenti
a qualche forma di geometria (pertanto basate sull’analisi infinitesimale) ma
su strutture algebrico-logico-linguistiche (sostenute, in sostanza,
dall’aritmetica o, per meglio dire, da parti finite dell’aritmetica). In assenza di leggi proprie la natura è flessibile tanto quanto
il soggetto che la osserva. GALILEOSi potrebbe immaginare che la semplice aspirazione ad una Fisica
non galileiana sia una violazione della sacralità di Galileo Galilei,
carissima a ciascuno: ma nessun grande scienziato (Galileo meno di tutti)
anteporrebbe il proprio primato a quello della verità. Lo dimostra egli stesso quando sostiene che Aristotele in
persona, qualora fosse stato posto al corrente delle nuove argomentazioni,
sarebbe stato dalla sua parte; le resistenze non si dovevano attribuire ad
Aristotele ma agli aristotelici. Se Galileo, postosi al corrente dello stato della Fisica
contemporanea, esaminasse le domande cui si è accennato e qualcuna delle
possibili risposte, capirebbe subito l’importanza della questione:
sorriderebbe forse della mia impostazione, e della mia insufficienza rispetto
alla scala delle difficoltà (la quale insufficienza, purtroppo, è sicura); ma
non riderebbe del problema, né delle sue implicazioni. Anche Albert Einstein, forse, si sarebbe divertito parecchio con
questi ragionamenti, se avesse potuto vederli. Non Galileo, dunque, dobbiamo temere, ma la componente “inerziale”
dei galileiani. L’ESPERIENZA-ZERONon si tratta di una vera e propria esperienza di laboratorio ma
di quella offertaci da un laboratorio senza apparecchiature, quello minimo
possibile, formato soltanto dal nostro intelletto e dal nostro linguaggio. L’esperienza-zero è un dato sperimentale che abbiamo avuto ed abbiamo
sempre davanti agli occhi, seppure siamo soliti non dargli alcun peso. È un fatto empirico solido, solidissimo, più solido di qualsiasi
rilevazione sensoriale o strumentale, e pieno di conseguenze cruciali. Noi non possiamo scrivere, leggere, operare, e nemmeno pensare
numeri interi troppo grandi, per esempio numeri generici aventi la grandezza
di 2 elevato a 10100; per scrivere numeri come questi non sarebbero
sufficienti tutte le particelle elementari dell’Universo, ciascuna utilizzata
come una cifra binaria; ancor meno basterebbe la nostra memoria, o il nostro
tempo. Numeri come questi non possiamo citarli (individualmente)
attraverso un “nome”, perché non hanno nome; né hanno successore, precedente,
divisori. Qualcuno tra loro potremmo individuarlo attraverso una proprietà
peculiare: allora esso sarebbe “raggiungibile” per via fenomenologica ma non
ontologica. Invero le proprietà peculiari dei singoli numeri non sono meno
numerose dei numeri stessi, e pertanto potremmo sperare di poter raggiungerli
tutti per via fenomenologica: ma ciò sarebbe vero se per enunciare le
proprietà ci fosse lecito utilizzare – in qualsivoglia linguaggio – frasi
arbitrariamente lunghe, il che ovviamente non è. Dal punto di vista dell’aritmetica teorica i numeri
“irraggiungibili” sono moltissimi, anzi “quasi tutti”: l’aritmetica
sperimentale (o “raggiungibile”) è una piccola isola finita nell’oceano
infinito dell’aritmetica teorica. Di conseguenza quando ci accadrà di parlare di quantità troppo
grandi ma finite, non useremo il termine “infinito” come comunemente si suol
fare (in senso traslato) ma diremo “innumerevole” nell’esatto significato
originario – non traslato – di “impossibile da contare”. Il lettore attento osserverà facilmente che il molto famoso
“assioma della scelta” (indispensabile per molte dimostrazioni) è falso già
nell’ambito ristrettissimo dell’aritmetica finita. Necessariamente si vengono a configurare due diverse aritmetiche:
una teorica o “razionale” ed una empirica o “reale”; la prima infinita, la
seconda finita (eppure priva di confini esatti). Da qui trae origine la divaricazione tra razionale e reale, e la
loro profonda estraneità reciproca; differenze le quali incombono sull’intera
filosofia e sulle scienze. Potremmo dire che l’aritmetica teorica è in contrasto con
l’esperienza, ed è vero; ben più radicalmente di quanto le figure platoniche della
geometria contrastino con i corpi del mondo reale: le due aritmetiche,
razionale e reale, sono entrambe “iperuraniche”. Le conseguenze principali dell’esperienza-zero sono tre: · primo, l’aritmetica teorica non può “esistere” per noi come
“realtà” · secondo, la realtà fisica (quale noi possiamo conoscerla) è finita
e discreta di per sé stessa, in qualsivoglia direzione, senza
necessità di teorizzazioni o postulazioni o sperimentazioni, e non può essere
descritta con metodi infinitesimali o comunque infinitistici · terzo (con una metafora relativistica) l’esperienza-zero
introduce una forma di curvatura nella struttura, altrimenti piatta,
dell’aritmetica. SEPARAZIONE TRA MATEMATICA E FISICAL’importanza della cosa, discussa nel seguito, risiede nella
necessità che le esperienze fisiche siano in primo luogo esprimibili e
poi, in varia misura, comunicabili. Ciò significa che in Fisica (galileiana) non si deve supporre (nemmeno
implicitamente) di poter fare ciò che non è possibile fare (ad esempio far uso
di numeri troppo grandi o di frasi troppo lunghe o di processi recursivi di
profondità troppo grande). In caso contrario, se l’illazione è essenziale e non può essere
eliminata, le teorie violano l’esperienza-zero e cominciano a vacillare o a
divergere o a mostrare crepe piccole o grandi, esattamente come se fossero
contraddette sperimentalmente: anzi trovano esse stesse l’esperimento che le
contraddice. Va detto che sono irraggiungibili quasi tutti i numeri reali, e
segnatamente i numeri irrazionali, cosicché (in ambito galileiano) non si può
ammettere che qualsivoglia grandezza fisica possa essere misurabile da un
numero irrazionale; cosa della quale si avvidero molto bene i Pitagorici 25
secoli fa. Occorre dunque stabilire una separazione netta tra la Matematica
e la Fisica, regno dell’infinito la prima, della finitezza la seconda; e
pertanto riconoscere che esistono entità matematiche ma non fisiche, delle
quali è esempio storico emblematico la radice quadrata di 2, ma tali sono anche
lo spazio ed il tempo tradizionali. Ne consegue che l’applicabilità dell’analisi infinitesimale allo
studio dei fenomeni fisici reali è molto critica e richiede grandissima
circospezione; ma qui non si può discuterne. FISICA SPERIMENTALESe noi mandiamo in pezzi un vetro, potremmo essere indotti ad
affermare che il vetro è composto di un certo tipo di frammenti e che questi
sono i costituenti del vetro. Se fossimo sufficientemente sagaci, potremmo trovare leggi di
composizione dei frammenti (vere), catalogarne pesi forme e dimensioni,
trovare in loro grandezze misurabili che chiamiamo massa, energia, carica,
colore, sapore, stranezza, e cercare di conoscere in questo
modo la natura del vetro. Ma la forma e le dimensioni dei frammenti dipendono più dal
martello che dal vetro: se esponiamo il vetro ad alta temperatura, vediamo
che è composto di gocce e non si può più romperlo, a temperatura ancora più
alta è fatto di plasma. Qualsiasi speculazione corretta noi si possa fare a partire dai
frammenti o dalle gocce o dal plasma e come da essi si ricostituisca il vetro
è pienamente lecita e valida, e sarà confermata dall’esperienza. Potremmo dunque spiegare la composizione del vetro con tre
teorie, tutte vere e confermate dall’esperienza ma tra loro discordanti: che
il vetro sia composto di frammenti incastrati la cui individualità è
già definita all’interno del vetro (indipendentemente dal colpo di martello),
ovvero sia un liquido congelato, oppure sia plasma sublimato. La sintesi delle tre teorie, come sappiamo, è posta ad enorme
distanza da questi fenomeni. Con ciò non si vuole sostenere che i frammenti e le altre cose non
esistano; i frammenti esistono, ma sono frammenti di martello piuttosto che
di vetro. È verosimile che quanto più è energico il martello, tanto più
piccoli saranno i frammenti e più capricciosi i contorni. Non sappiamo se ogni frammento sia ulteriormente frantumabile cosicché
li consideriamo elementari o atomici quando non possediamo la capacità
tecnica necessaria a scomporli e questa si riduce sempre e soltanto ad un
certo grado di concentrazione dell’energia cinetica: noi stessi abbiamo
deciso che la realtà investigata è puramente meccanica. Niente di tutto ciò è sicuro, ma i dettagli hanno poca
importanza. Ciò che essenzialmente si vuol dire è che se il nostro apparato
sperimentale è composto soltanto di martelli, allora il vetro sarà composto
soltanto di frammenti; e quando studiamo gli effetti dei colpi di martello
studiamo assai più il martello che il vetro. Le difficoltà sono invisibili, ma non inesistenti: i contrasti
con le altre teorie possibili, a noi sconosciute perché l’apparato
sperimentale non ci permette di scoprire né gocce né vapori, rimangono sullo
sfondo e logorano la teoria dei frammenti; probabilmente la sintesi
tra quest’ultima e le sorelle ignote è posta a distanze inarrivabili. Un esempio tratto dalla matematica può apportare un chiarimento:
sappiamo che alcuni sviluppi in serie non convergono perché la funzione
sviluppata (ad esempio 1/(1+x2)) ha un polo in corrispondenza ad
un certo numero complesso, nonostante essa appaia perfettamente regolare in
tutto il campo dei numeri reali, e nonostante sia possibile che lo studioso
non abbia alcuna cognizione dell’esistenza stessa dei numeri complessi: la
nostra funzione, vista soltanto come funzione di numeri reali, è capricciosa. Le limitazioni assolute della fisica sperimentale furono viste con
chiarezza da Kant, quando nella Critica parla di realtà troppo piccole o
troppo grandi per essere sperimentate, le quali dunque non possono essere fenomeni. Un quark o un positrone o un neutrino potrebbero essere semplici
o al contrario (come forse è più probabile) complessi quanto un intero Universo;
ma noi dichiariamo semplice ciò che non riusciamo a spezzare. LEGGI DI NATURAScopo della Fisica è studiare come certe sezioni di realtà (per
esempio i singoli uomini) vedano sé stessi e la parte restante; leggi di
natura sono (secondo noi uomini) le leggi di tali visioni, espressioni,
condivisioni. Ma ciò può essere
formulato in due maniere opposte: l’impostazione galileiana afferma che le
leggi di natura “esistono” e la loro esistenza si manifesta nella necessaria
armonia di certe osservazioni; la presente impostazione non galileiana
afferma che le osservazioni compiute da certe sezioni di realtà (quali ad
esempio siamo noi) contengono necessariamente armonie interne una
parte delle quali possono apparire come leggi o, meglio, essere approssimabili
da leggi: ma le leggi profonde sono altre. Nella fisica non galileiana qui ipotizzata ogni sezione
individua quello che semplicisticamente potrebbe essere immaginato come il
suo complemento, e ciò dà origine ad un dualismo; simili
considerazioni, al contrario, non hanno rilevanza nella Fisica galileiana. Il concetto stesso di legge assoluta di natura è carico di
difficoltà: una volta trovata effettivamente una legge siffatta, che
spiegasse per intero tutti i fenomeni in una sola teoria coerente, si
potrebbe scivolare nel creazionismo (sic placuit)
oppure, di fronte all’inevitabile sensazione di gratuità, cercarne le cause. Newton trovò una causa alle articolatissime regole
dell’astronomia tolemaica e le riconobbe come un’approssimazione dell’unica –
e più precisa – legge della Gravitazione Universale; ma egli stesso percepiva
come gratuita la sua legge, ed intendeva trovarne le cause. Einstein rese necessaria l’identificazione della massa
gravitazionale con quella inerziale (fino ad allora puramente empirica) e ridusse
la forza di gravità newtoniana ad un’approssimazione di opportune deformazioni
dello spaziotempo, formulazione più precisa e – si licet – più semplice
rispetto alla legge di Newton. Così facendo la difficoltà fu spostata ma, ancora una volta, non
superata. La ricerca delle cause di una legge fisica è contemporaneamente
più semplice e più complessa rispetto alla ricerca delle cause di un singolo
evento; essa riduce una legge fisica a conseguenza approssimativa ed apparente
di un’altra legge più generale, che possiamo chiamare metacausa
(per esempio la legge di conservazione della materia-energia al posto delle
due leggi separate di conservazione della materia e dell’energia). La nuova legge genera a sua volta la medesima sensazione di
gratuità, cosicché il ciclo si ripete e si cadrebbe nell’infinito per altra
via, ciò che vogliamo bandire: una successione formalmente infinita di Teorie
gratuite (nessuna delle quali esatta) non appare né possibile né soddisfacente. CADUTAL’esperienza-zero ci ha sottratto la pienezza di alcuni strumenti
potentissimi quali l’aritmetica teorica e l’uso non euristico dell’analisi
infinitesimale. Persino la fecondità del metodo sperimentale, utile a trovare
ricorrenze ma non leggi, solleva difficoltà sul perché il mondo sembri
obbedire a regole le quali i Fisici, pressoché unanimemente, considerano false
(in quanto non vere assolutamente). Di fronte all’esigenza di costruire un edificio sommamente
elevato, il terreno ha ceduto e siamo precipitati in un abisso. Tuttavia ciò che appare sotto le sembianze di una catastrofe, è sovente
un punto di svolta: il suolo molle dell’estrapolazione sperimentale ci ha fatti
scivolare molto in basso, fino ad una quota oltre la quale non possiamo
scendere ulteriormente. È come se sotto la sabbia avessimo finito per trovare la roccia:
non in quanto sia assolutamente vera ma in quanto è vera relativamente
a noi, ossia non è negabile da noi senza negare incondizionatamente la nostra
stessa esistenza e qualsiasi definizione ragionevole che possiamo dare della
Fisica. La quale (qui) è intesa come la collezione di tutti i fatti
percettibili, esprimibili e comunicabili: dalle definizioni di fatto, percezione,
espressione, comunicazione dipendono l’ampiezza e la profondità
del campo di applicazione della Fisica e le sue leggi. Se noi cerchiamo, come veramente cerchiamo, una scienza esatta,
l’esprimibilità e la comunicabilità debbono essere intese in senso rigoroso e
abbiamo visto che ciò è estremamente difficile e per ora non accade con
nessuna Teoria. Possiamo pensare alla Fisica come alla collezione di tutte le esperienze
esprimibili e comunicabili attraverso un linguaggio esatto, cosicché tutti i
fatti fisici obbediscono alle leggi di tale linguaggio, e a nessun’altra. Pertanto la roccia sopra la quale potremmo edificare (forse) la
Fisica futura consiste essenzialmente in un linguaggio assoluto (ma pur
sempre, inevitabilmente, “umano” in senso protagoreo): la base di ogni
conoscenza è la Parola umana coerente, il Discorso, il Logos di Eraclito e di
tutti coloro che sono venuti dopo. Come sempre avviene la forza coincide con le nostre debolezze:
l’inadeguatezza e la primitività del nostro linguaggio (corrente e
scientifico) e la fragilità delle sue componenti di base (nomi e verbi)
possono fornire i mezzi per costruire qualcos’altro. PITAGORISMOL’uomo ripone molta fiducia nei
numeri, i quali invero raramente lo tradiscono; c’è dunque una forte
tendenza, sin dall’antichità, ad identificare la conoscenza scientifica o più
in generale la descrizione attendibile della realtà con i numeri. L’acmé fu toccata con la scuola
pitagorica, secondo la quale la realtà non è rappresentata dai numeri ma è
numero (qualsiasi cosa intendessero dire precisamente quei filosofi). Dopo circa due millenni una tesi simile
trovò la sua espressione più solenne e venerabile con la “lingua matematica”
di Galileo Galilei: la locuzione, frutto forse di un’intuizione da genio
profondissimo, supera la Fisica successiva e sembra anticipare i tempi. La Fisica contemporanea vede la
realtà come un’interazione tra “cose in sé”, che non sono numeri, la quale
tuttavia può essere descritta efficacemente soltanto con mezzi matematici: i
numeri non sono “la realtà” ma sono indispensabili per ogni rappresentazione
della realtà. In queste pagine si rientra nell’alveo
del pitagorismo pressoché puro, sebbene le esigenze delle formulazioni
moderne della scienza impongano una certa prudenza: dobbiamo dire che
“secondo noi” la realtà è numero o meglio che “secondo noi” la realtà è necessariamente
numero e “secondo noi” non può essere altrimenti. Almeno fin tanto che siamo legati a
qualche forma di linguaggio e vogliamo esprimere e comunicare le nostre
osservazioni attraverso un linguaggio. Se supponiamo superata l’enorme
difficoltà di fare astrazione da tutte le incastellature della Fisica, tutto
si riconduce ad una sola questione fondamentale la quale, in forma
estremamente rozza, suona come segue: ≪data una qualunque aritmetica finita
sufficientemente ampia, esistono in essa strutture “pensanti”?≫ Naturalmente non possiamo affrontare
il problema in tutta la sua generalità, perché non sappiamo dare una
definizione universale (meta-umana) di “pensante”: ma possiamo restringerlo a
qualcosa che ci assomigli sufficientemente (in senso protagoreo) e limitarci
a strutture organizzate di proposizioni, il cui linguaggio sia compatibile
con la nostra architettura cognitiva. Un esempio potrà rendere più chiaro
quanto abbiamo appena detto: se studiamo tutti i possibili aggregati di
atomi, ne troveremo alcuni in grado di replicarsi, e riconosceremo in essi la
prima base della vita, la quale è presente già nel semplice concetto di
aggregato di atomi. Come la vita è già “nascosta” tra le
innumerevoli combinazioni degli atomi, ugualmente la realtà si nasconde tra
le innumerevoli strutture dell’aritmetica, alcune delle quali sono capaci di
“esistere” e di “pensare”, condizione quest’ultima indispensabile per la
costruzione di una conoscenza qualsivoglia, in particolare fisica. Strutture “pensanti” possiamo
trovarne piuttosto facilmente in aritmetica, se diamo per “vera” una
qualsiasi dottrina fisica, ad esempio la Teoria Newtoniana; ma cadremmo
facilmente in contraddizione con la finitezza dell’Aritmetica empirica; la
vera sfida è trovare strutture “assolute”, che inducano la conoscenza fisica. L’aritmetica ha vantaggi grandissimi
che gli atomi non hanno: nel suo mondo qualsiasi cosa che sia possibile
definire “esiste” ed inoltre sono del tutto assenti lo spazio, il tempo, la
materia, l’energia ed in generale tutte le categorie della Fisica. CONCLUSIONEÈ probabile che le opinioni di chi ha avuto la perseveranza di
proseguire fino a questo punto siano differenziate. Molti non riusciranno a dare peso sufficiente ai ragionamenti
che abbiamo esposto e preferiranno invertire la rotta verso le più familiari spiagge
della Fisica convenzionale. Qualcuno rimarrà con noi, speriamo: e certamente si aspetta di
vedere solide costruzioni, o forse addirittura una prova materiale di questo
genere di Fisica (in aggiunta alla risolutiva prova empirica
dell’esperienza-zero): per esempio come qualcuna delle grandezze
caratteristiche (massa, energia, spazio, tempo…) o delle leggi tradizionali
possa essere estratta come approssimazione di strutture puramente
linguistiche. A presentare prove siffatte ci sono per ora grandissime
difficoltà; per raggiungere un punto apparentemente vicino è necessario un
percorso idealmente simile all’orbita di una cometa che si allontani quasi
indefinitamente per poi tornare, con grande potenza, dal versante opposto. Persino le leggi odierne della Fisica potremo capirle veramente
quando sapremo che cosa esse approssimano, e perché. Il lettore che avesse un minimo interesse può continuare in una
discussione alquanto più dettagliata che illumina numerosi aspetti della
questione: purtroppo prevale la pars destruens
che in ogni lavoro è sempre molto più agevole della pars construens. Possiamo concludere questa premessa con qualche osservazione a
proposito delle domande B C ed E. B: Perché la Fisica galileiana è tanto “complicata”? … C: È possibile formulare una Scienza fisica “semplice”? … E: Perché (e fino a che punto) vediamo tutti lo stesso mondo? … Al momento attuale (feb 2022) il
presente sito è composto di 4 testi: o Un breve profilo dell’autore, niente affatto necessario ed anzi quasi
privo di interesse: tuttavia richiesto, in qualche misura, dalla
consuetudine. o Un articolo n. 1, che se fossero presenti una sufficiente
quantità e qualità di attenzione, potrebbe essere seguito da altri; esso
espone (per momento in forma più filosofica che tecnica) le considerazioni
indispensabili per edificare una teoria universalmente compatibile. |
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